Tempo

La riflessione sul tempo ha da sempre rivestito un ruolo centrale, creando polarità e assumendo forme sempre nuove. Chronos e kairós (Marramao); circolarità e linearità (Agamben, Löwith); continuità e interruzione (Benjamin): sono queste solo alcune delle costellazioni di senso del tempo. Come suggerisce Agostino, il tempo, proprio perché permea e struttura l’esperienza umana, non è mai del tutto definibile e rappresentabile (Guillaume). Nella filosofia antica il tempo si presenta già come un campo di forze. Tra eternità e divenire (Platone), tra movimento e spazio (Aristotele), prendono forma le polarità della “aporia costitutiva del tempo” (Hartog). Nel Novecento l’interrogazione sul tempo ha conosciuto uno sviluppo eccezionale: in filosofia, attraverso la scoperta della durata soggettiva del tempo, della funzione strutturale dell’anticipazione e del ricordo dell’esperienza e della finitezza come matrice di senso dell’esistenza (Bergson, Heidegger, Husserl); nella scienza, a partire dalla teoria della relatività di Einstein, attraverso la scoperta delle molteplici temporalità che formano la trama della realtà; in letteratura, attraverso lo stravolgimento delle convenzioni cronologiche tradizionali (Joyce, Mann, Proust, Woolf).

Nella riflessione sul tempo il pensiero filosofico ha trovato uno dei luoghi più fecondi per instaurare un dialogo con le diverse arti: secondo Ricoeur è il racconto ad aprire una via alla comprensione dell’esperienza umana del tempo, laddove le definizioni filosofiche si perdono in aporie irrisolvibili. Il riferimento del cinema al tempo costituisce d’altronde uno dei fili rossi a partire da cui è possibile leggere l’opera di André Bazin, uno tra i più influenti critici della storia del cinema. Il cinema per sua stessa essenza si radica nell’esperienza temporale, ampliando così enormemente l’orizzonte della riflessione sul senso del tempo e sul significato della temporalità: individuando nella messa in forma dell’esperienza da parte dell’immaginazione il momento più originario di questa comprensione narrativa del tempo (Montani); offrendo “immagini-cristallo” del tempo (Deleuze); rinviando al rapporto tra l’esperienza del tempo e i dispositivi tecnologici di archiviazione e conservazione della memoria (Stiegler, Virilio). Il cinema fa così emergere le diverse forme in cui si manifesta questo lavoro sul tempo: come sperimentazione della durata (Empire di Warhol, Blue di Jarman) e dei suoi effetti sulla tonalità affettiva della visione attraverso la costruzione dell’immagine (Ozu, Tarkovskij, Welles); come messa in questione dell’ordine cronologico del racconto a favore dell’emersione di un punto di vista soggettivo o inconscio (Hiroshima mon amour e L’anno scorso a Marienbad di Resnais, Shutter Island di Scorsese o A proposito di Davis dei fratelli Coen, tra gli altri); come possibilità di mostrare il senso, e il non-senso, della vita a partire dal limite estremo della morte (Antonioni, Bergman, Pasolini, Rossellini); come anticipazione di una riflessione filosofica o scientifica sulla struttura temporale del mondo (Malick, Nolan, Tarr); come messa in opera, ovvero come critica, delle forme del racconto collettivo della storia (Marker, Šub), anche attraverso un lavoro di rimediazione interno alla storia del cinema (Casetti, Rancière); come rielaborazione della memoria attraverso il lavoro documentaristico sugli archivi (Marazzi, Panh).

Il lavoro sulle forme del tempo attraverso le immagini trova poi un prolungamento nella videoarte. Pensiamo alle sperimentazioni inaugurali di Nam June Paik e Bill Viola: l’effetto di immediatezza del video (Baudrillard, Derrida) diventa occasione per una continua mise en abîme dell’esperienza ordinaria del tempo.